Entro febbraio l’Unione europea dovrebbe decidere se
concedere o meno al gigante asiatico lo status di economia di mercato. Raggiungere lo «status di economia di mercato»
alla Wto è uno degli obiettivi strategici della Cina, e ben capiamo il perché. Fra
i benefici ci sarebbero le maggiori difficoltà dell’Europa a imporre dazi
antidumping sulle aziende cinesi che riducono in modo scorretto i prezzi.
Purtroppo, ma la cosa non ci stupisce, la Commissione Europea
sarebbe orientata a dire SI. Pesanti le conseguenze di tale scelta scellerata
(ma ne fanno di diverse gli oligarchi di Bruxelles?): secondo una ricerca
dell’Economic Policy Institute il riconoscimento dello stato di economia di
mercato alla Cina comporterebbe la perdita di
3,8 milioni di posti di lavoro ed una riduzione del PIL dell’UE del 2%. Praticamente la concessione disarmerebbe unilateralmente le
difese commerciali europee contro la Cina. Questo riconoscimento faciliterebbe
infatti l’inondazione in Occidente di merci cinesi a basso costo, mettendo
maggiormente in difficoltà i settori industriali più vulnerabili e aggravando
ulteriormente la crisi. Gran parte dell’industria europea, guidata da settori
come l’acciaio, che ha perso un quinto della forza lavoro dal 2009, la ceramica
e il tessile, sono contrari, così come i sindacati. In Italia si rischia la
perdita di ulteriori milioni di posti di lavoro e in cambio verremmo sommersi
da tonnellate di paccottiglia inutile. A livello europeo, la Germania è
favorevole ad accontentare Pechino. Ma non ci stupirebbe vedere che pure il
governo italiano, tafazzisticamente, si accodi (come è stato per il
TTIP).
No alla Cina, stop globalizzazione!