Tantissime sono in queste ore le analisi relative ai
risultati delle elezioni americane. Innegabile a nostro avviso il fatto che i
cittadini americani arrabbiati abbiano scaricato in maniera netta il
progressismo politicamente corretto dei ricchi mondialisti, di cui la Clinton
era l’espressione massima, che con l’imposizione della globalizzazione (specie
sotto i mandati di Bill Clinton, vero e proprio campione del capitalismo
apolide e cosmopolita) sta affondando interi settori sociali, lanciando un
segnale piuttosto chiaro all’establishment: così non si va avanti! Certo, perché
il conto, salatissimo, della globalizzazione IMPOSTA agli americani e agli
europei non lo hanno pagato i ricchi, i politicanti venduti, gli imprenditori,
gli industriali, i finanzieri e le oligarchie privilegiate, ma lo stanno
pagando i lavoratori, la working class, le classi meno abbienti, la classe
media devastata, i non privilegiati, che vedono le fabbriche chiudere, i posti
di lavoro sparire, i lavori che rimangono diventare ‘mac-jobs’, ossia lavori saltuari,
precari e senza garanzie, gli immigrati fatti arrivare a fiumi per far
abbassare ancora di più i salari e impoverire ulteriormente le classi disagiate
locali, che restano al fondo senza che nessuno si curi di loro.
Perché questo è il messaggio VERO che esce dal voto
americano: la globalizzazione dei privilegiati, della Global Class (come la
definiva correttamente Costanzo Preve), è una pistola puntata alla testa dei
popoli, che vengono ignorati dalla politica prona unicamente agli interessi
della finanza e di imprese e multinazionali. E che è arrivato il tempo di
mettere fine a questo CRIMINE, altrimenti oggi si protesta col voto, domani
chissà.
Come ha fatto giustamente osservare Alain De Benoist ieri,
in un articolo sul Quotidiano Nazionale, questa “E’ la rivincita sulla
globalizzazione” delle classi medie impoverite investite assieme alla classe
operaia dal vento della mondializzazione, che hanno votato contro Washington,
contro le catene del politicamente corretto, contro il neoliberismo schiavista, contro il capitalismo affamatore, contro George Soros, contro la Goldman
Sachs, contro i politici di carriera che confiscano la democrazia. E come giustamente
fa notare De Benoist non esiste più la divisione destra/sinistra, ma ormai l’elettorato
è diviso tra coloro che si approfittano della mondializzazione e chi ne subisce
i danni, ossia le periferie e le classi popolari. Questa è il nuovo fronte dello scontro politico!
Vedremo come andrà a finire, anche se non siamo ottimisti in
merito. Se da un lato non possiamo che gioire della legnata presa dai
progressisti spocchiosi e saputelli, dall’altra siamo un pochino scettici su
quanto Trump intenda fare realmente. Già nel 2008, in piena tempesta
finanziaria e crisi economica Obama aveva promesso grandi cambiamenti (“Change.
Yes We can!”) e poi si è visto come è
andata, con un quasi nulla di fatto. E già il fatto che il nuovo presidente
voglia partire con il taglio delle tasse per i super-ricchi e i ceti alti di Hollywood
e di Wall Street, gente come De Niro, Madonna, Lady Gaga, Beyoncè tanto per
nominarne alcuni, insomma con l’establishment e le classi dirigenti colpevoli
dello sfascio imperante, ci fa un pochino riflettere.